CASSINO – Nuovo ciclo di letture dantesche, organizza Città/Città

Anche quest’anno, l’associazione culturale Città/Città propone un ciclo di letture della Divina Commedia affidate a studiosi e docenti universitari che non frequentano ‘professionalmente’ i testi danteschi e che, provenendo da aree disciplinari disparate, hanno accolto l’invito a confrontarsi liberamente con il testo della Commedia a partire da prospettive, problematiche e suggestioni che attraversano i loro specifici interessi culturali. Dantisti  “per caso o per diletto” che, tuttavia, ciascuno lungo una singolare traiettoria interpretativa, cercano di far emergere nel dettato della Commedia la remota sorgente di questioni ancora urgenti  nel nostro presente,  mettendo in rilievo, al tempo stesso,  motivi e moventi che, dall’attualità delle cronache, continuamente ci rimandano alla lettura dei versi danteschi.
In questo senso, ogni lettura  vuol essere l’occasione di una feconda profanazione. Nella definizione del giureconsulto romano Gaio Trebazio: “Profano si dice in senso proprio ciò che da sacro o religioso che era,viene restituito all’uso e alla proprietà degli uomini… e puro è il luogo che, sciolto dalla devozione degli dèi morti, non è più né sacro, né santo, né religioso, liberato da tutti i nomi di questo genere”. Profanazione, perciò, è il gesto che sospende e neutralizza la separazione, restituendo all’uso e alla disponibilità degli uomini ciò che era stato sequestrato e votato alla sfera del sacro e del divino. Sulla scia di questo paradigma, si può pensare che una concezione religiosa e, per così dire, “reliquiaria” dei testi canonici della nostra tradizione culturale, presupponga una scissione che li allontana in una sfera rarefatta e intangibile.  Secondo tale visione,  ad essi  sarebbe permesso l’ accesso soltanto a chi, indossando l’abito talare dell’accademia, accetti di sottomettersi a scrupolose  prescrizioni rituali, ovvero ai precetti metodologici e ai parametri concettuali dei saperi specialistici – dei quali, peraltro, non si intende qui in alcun modo disconoscere la legittimità e la necessità.
D’altra parte, la provocazione, che pure è implicita in questa come in ogni attualizzazione, sembra eludere l’ispirazione fondamentale sottesa all’oggetto di culto di cui si suggerisce una riappropriazione profana. Fu lo stesso Dante, infatti, a definire la Commedia come “’l poema sacro / al quale han posto mano e cielo e terra” (Par.XXV,2-3). E tuttavia, lungi dal contraddirne l’intenzione poetica originaria, il progetto di profanazione sembra svolgerne le più genuine e profonde implicazioni ideologiche. È questo stesso “poema sacro” che Dante volle consapevolmente intitolare Commedia, al cui centro sta l’esperienza eminentemente anti-tragica di un itinerario che vale come espiazione-giustificazione del colpevole, contrapposta alla destinale colpevolezza del giusto che definisce il tragico come tale. La scelta di Dante delinea pertanto, com’è stato acutamente notato, “uno dei tratti che più tenacemente caratterizzano la cultura italiana: la sua essenziale pertinenza alla sfera comica e il suo conseguente rifiuto della tragedia” .
La liberazione “comica” dall’idea di destino, nell’intento di cancellare la scissione che separa la prassi umana dalla responsabilità del suo senso e delle sue possibilità, è anche il motivo conduttore di queste letture profane. Esse si assegnano, perciò, un compito etico-politico che corrisponde al paradosso di una profanazione di secondo grado: restituire all’uso comune i significati di un’opera di straordinaria complessità che, perseguendo l’integrale ricomposizione del tempo e dell’eterno, dell’umano e del divino, non esitò tuttavia a seguire l’umile consiglio per il quale “meglio sarebbe a voi come rondine volare basso, che come al nibbio altissime rote fare sopra cose vilissime” (Conv.IV,6).

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