SORA – L’Omelia di fine anno di Mons. Antonazzo
Riceviamo e di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’Omelia di Fine Anno di Mons. Gerardo Antonazzo, Vescovo Diocesano di Sora, Cassino, Aquino e Pontecorvo:
Saluto con affetto fraterno i carissimi Sacerdoti e Diaconi,
saluto e ringrazio Sua Eccellenza il Prefetto Emilia Zarrilli,
i signori Sindaci, le stimate Autorità Civili e Militari,
e tutti voi, amati fratelli e sorelle della chiesa di Dio che è in Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo.
Grazie per la cordiale condivisione e la corale partecipazione alla preghiera di ringraziamento che ci permette di concludere un anno vissuto sotto il segno salvifico della benedizione del Signore sulle nostre famiglie e comunità, sulle istituzioni che rappresentiamo, sui responsabili della cosa pubblica preposti al benessere e al progresso dei cittadini, sulla Chiesa quale sacramento di riconciliazione e di fraternità.
Tra i tanti venti di violenza e di guerre che hanno contrassegnato il faticoso e sofferto percorso dell’anno 2014, non vanno dimenticati i significativi passi di pace, quali l’abbraccio fraterno tra papa Francesco e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, e il recente riavvicinamento diplomatico tra Stati Uniti e Cuba favorito dalla mediazione decisiva della Santa Sede.
La storia sociale e religiosa, poi, del nostro territorio è stata arricchito, come ben sappiamo, dalla premura paterna di Dio che, attraverso la responsabilità pastorale di Papa Francesco, ha riscritto la geografia delle nostre comunità, e ha ridefinito il volto umano ed ecclesiale della nostra diocesi. La nuova configurazione territoriale di questo amabile e amato territorio è oggi esemplarmente rappresentata dai tanti sindaci dei 60 comuni della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, da Sua Eccellenza il Prefetto, dai diversi rappresentanti delle Forse dell’ordine, dai sacerdoti e dai molti fedeli convenuti. Cogliere le ragioni di Dio in ciò che accade costituisce un vero e proprio sguardo di fede con cui rileggere e interpretare la nostra storia corrente.
Il prossimo 1° gennaio celebreremo ancora la Giornata mondiale della pace, per continuare nella insistente preghiera e impegno di una più vigorosa primavera della speranza, i cui germogli devono essere favoriti soprattutto da un sistema ragionevole di fraternità universale.
Il poema della gratitudine
Oggi cantiamo a Dio la nostre lode per la sua presenza provvidenziale nella storia degli uomini, una presenza che si fa “carne” nel mistero adorabile del Natale. L’iniziativa di Dio si compie sempre in una cornice storica fitta di eventi e personaggi umani, che solo in apparenza sembrano dominare la scena del mondo e il panorama della storia. In realtà le sorti dell’umanità, della cui attuazione, nel bene o nel male, l’uomo è pure partecipe e responsabile, sono sempre sostenute, salvaguardate e salvate dalla provvidenza di Dio, sono guidate dalla sua volontà di amore con cui trasforma in pagine di luce anche i racconti umani più drammatici e disastrosi. Nella notte oscura delle nostre guerriglie fratricide, Dio continua a sorprendere con annunci e promesse di pace.
Riconosciamo dunque l’agire di Dio nell’intreccio delle vicende umane. Ognuno di noi, al termine di questo anno, può comporre il poema della gratitudine a Dio, se solo siamo disposti a non dare nulla per scontato, per dovuto, o semplicemente affidato all’accadimento casuale degli eventi. Fare memoria della nostra storia personale e sociale alla fine di un anno è come riannodare tutti i fili degli eventi accaduti e tessere insieme l’arazzo di un racconto storico ricco di significati.
A Dio diciamo grazie per le nostre famiglie, per i nostri colleghi, per i responsabili e i collaboratori nella pubblica amministrazione, per le persone oneste che ogni giorno si prodigano per gli altri negli uffici pubblici, negli ospedali, nel mondo del lavoro, nelle associazioni di volontariato, nelle comunità cristiane.
Il “canto del cigno”
Ai tanti felici eventi, dobbiamo affiancare anche quanto ci ha tristemente segnato, soprattutto il dramma dell’omicidio di Gilberta Palleschi, e non solo. A tutte le Istituzioni oggi più che mai è richiesto un rinnovato impegno sulla prevenzione, investendo molto sui processi di formazione della coscienza, della libertà, del rispetto delle leggi, dell’osservanza anche spicciola, ma mai neutra o insignificante, delle regole sociali, fiscali, politiche, economiche, familiari, relazionali. Trascurare, infatti, l’insegnamento della Legge di Dio e il rispetto delle regole della civile convivenza è un grave peccato di omissione nell’educazione etica e morale delle persone. Colpisce il favore con cui è stata accolta l’ultima televisiva presentazione artistica ed efficace dei Dieci Comandamenti; ma colpisce e forse ci interpella il fatto che tutto sembra accolto dalla gente come si trattasse di un annuncio nuovo, di parole mai ascoltate prima. Si sono forse create delle interruzioni nell’istruzione religiosa e morale delle ultime generazioni? Se così fosse, dobbiamo ridurre e magari estinguere questo debito formativo che tanto negativamente incide sul tessuto sociale del nostro vivere quotidiano.
All’inizio del nuovo anno vogliamo anche considerare l’anniversario di due eventi drammaticamente disastrosi, che hanno segnato una buona parte delle nostre comunità. Il 1915 non fu solo l’anno in cui l’Italia entrò in guerra, ma si annovera tra i tristi ricordi anche un drammatico terremoto che il 13 gennaio colpì l’intera regione della Marsica, con epicentro nell’area fucense, uno dei più catastrofici terremoti avvenuti sul territorio italiano: causò più di 30.000 vittime su un totale di 120.000 persone residenti nelle aree disastrate. Avvenne alle ore 07:48 raggiungendo l’undicesimo grado della scala Mercalli. La scossa fu avvertita dalla Pianura Padana alla Basilicata. Si formarono scarpate di faglia, spaccature del terreno, vulcanelli di fango, frane, variazioni della topografia e cambiamenti chimico-fisici della acque.
Avremo modi e tempi per riflettere sia sul disastro naturale del sisma, sia sul disastro della mente umana che, accecata dall’orgoglio, strutturò un conflitto bellico che da breve e circoscritto quale sembrava presentarsi all’inizio, divampò invece con una ferocia inverosimile, causando migliaia di giovani vittime, la cui memoria è contenuta nei nomi scolpiti sui numerosi monumenti commemorativi.
Uno solo è il Padre vostro
Il tema che Papa Francesco ha voluto dare al messaggio per la prossima 48.ma Giornata mondiale della pace porta come titolo: “Non più schiavi ma fratelli”.
Abbiamo ascoltato dalla Parola di Dio l’annuncio perentorio di Gesù ai suoi discepoli: “Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate ‘padre’ nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare ‘guide’, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo (Mt 23,8-10). E’, questa, una delle frasi predilette da San Tommaso d’Aquino, che vede in essa il progetto per una vita comune bella e felice: non si tratta di una società anarchica, ma una società nella quale i suoi elementi costitutivi hanno un senso nuovo, che deriva da Gesù Cristo. La novità sta nel fatto che nella comunità dei discepoli di Cristo, la forza dell’autorità sta nella meravigliosa esperienza dell’essere fratelli. San Tommaso sottolinea che solo tra fratelli, tra amici che hanno gustato l’esperienza di Colui che innalza chi ha avuto il coraggio di svuotarsi del proprio orgoglio, si può esercitare un’autorità, una paternità, una guida, che non domina, non schiaccia, ma libera perché è solo trasparenza di Amore.
“Non più schiavi, ma fratelli”
Nella letteratura biblica troviamo in particolare due racconti che rappresentano il fallimento della fraternità: il primo fratricidio, quello di Abele ad opera di Caino, e la storia di Giuseppe venduto come “schiavo” dai suoi stessi fratelli alle carovane di mercanti diretti verso l’Egitto. Gli episodi sono drammaticamente emblematici di come è sempre insidiosa la tentazione di asservire l’altro ai propri fini egoistici e alle malevoli strategie di possesso e di dominio, fino a snaturare e tradire perfino gli affetti familiari e le relazioni di sangue più significative, fino alla soppressione fisica.
La categoria della “fraternità” resta la chiave di lettura di una cultura sociale che ha voglia di ritrovare se stessa, capace di raccogliere la sfida antropologica del riconoscimento e dello sviluppo della dignità della persona. Ma la speranza di dare alla fraternità un diritto inviolabile di cittadinanza dipende principalmente dal riconoscimento di Dio quale creatore e padre di tutti gli essere umani. Scrive papa Francesco nel suo Messaggio: “In quanto fratelli e sorelle, quindi, tutte le persone sono per natura in relazione con le altre, dalle quali si differenziano ma con cui condividono la stessa origine, natura e dignità. E’ in forza di ciò che la fraternità costituisce la rete di relazioni fondamentali per la costruzione della famiglia umana creata da Dio”(n. 2).
L’asservimento dell’idolatria
Lo sfruttamento fisico, economico, sessuale e psicologico di uomini e donne, bambini e bambine attualmente incatena decine di milioni di persone alla disumanità e all’umiliazione. “Quando il peccato corrompe il cuore dell’uomo e lo allontana dal suo Creatore e dai suoi simili, questi ultimi non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti” (Messaggio del Papa, n. 4). Si consuma così un delitto che il Papa chiama crimine di “lesa umanità”: cosicché l’altro non è più riconosciuto né come simile, né come prossimo, ancor meno come fratello. Si intristisce il legame, si rafforza e si giustifica la diseguaglianza, si genera il sopruso che boccia ogni diritto altrui. Prima ancora che questione di fede, il riconoscimento dell’altro è questione di civiltà. L’obiettivo è la costruzione di una civiltà fondata prima ancora che sull’amore, sulla pari dignità di tutti gli esseri umani, senza discriminazione alcuna.
Una delle cause di maggiore schiavitù è l’asservimento dell’idolatria del denaro. Scrive l’apostolo Paolo: “Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci. Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti”(1Tim 6,8-10). Chi sceglie la via del denaro come fine unico della vita, alla fine sarà un corrotto, perché il denaro esercita una forte seduzione, ed è capace di far scivolare lentamente nella perdizione.
Alla bramosia del denaro è legata la piaga della corruzione che frantuma ogni aspirazione alla fraternità. La corruzione è l’azione con la quale si persegue il proprio arricchimento a qualunque costo e in qualunque forma: pensiamo alla diffusa illegalità, alla microcriminalità sempre in cerca di nuova manovalanza facilmente reperibile a causa della diffusa disoccupazione, al traffico di droga tristemente sempre in crescita.
All’idolatria del denaro è legata la bramosia del potere; un potere snaturato, come è ovvio, della sua vocazione di servizio alla promozione della dignità di ogni cittadino. La corruzione, oltre tutto, è tra le cause principali dell’attuale grave crisi economica, in quanto le molte risorse accaparrate indebitamente da alcuni sono sottratte all’economia reale di molti onesti cittadini condannati alla difficile arte della sopravvivenza.
L’idolatria del denaro, e la vergogna dell’illegalità che lo foraggia, alimentano la bramosia dei piaceri della vita, causando degrado morale ed evidenti forme di perversione morale. Papa Francesco invita a portare a casa il guadagno sudato con il proprio lavoro, a nutrire la famiglia non con “pane sporco”: “Dio ci ha comandato: portare il pane a casa con il nostro lavoro onesto». Invece «questo amministratore dava da mangiare ai suoi figli pane sporco. E i suoi figli, forse educati in collegi costosi, forse cresciuti in ambienti colti, avevano ricevuto dal loro papà come pasto sporcizia. Perché il loro papà portando pane sporco a casa aveva perso la dignità. E questo è un peccato grave». Magari, ha specificato il Papa, «s’incomincia forse con una piccola bustarella, ma è come la droga». E anche se la prima bustarella è «piccola, poi viene quell’altra e quell’altra: e si finisce con la malattia dell’assuefazione alle tangenti” (Omelia dell’8 novembre 2013).
La schiavitù delle dipendenze
Insieme con la schiavitù del denaro e del potere, ogni è in forte e preoccupante crescita la schiavitù generata dalle dipendenze che riducono ulteriormente lo spazio della propria libertà e il rispetto della libertà altrui. Il fenomeno dell’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo assume oggi una versione allarmante nella piaga della ludopatia. La dipendenza dal gioco, per quanto non sia un fenomeno nuovo di zecca, è senza dubbio aggravato dal problema sociale della disoccupazione. Il fatturato complessivo dell’azzardo in Italia ammonta a 90 miliardi di euro con una crescita esponenziale degli incassi complessivi. Lo Stato guadagna circa 10 miliardi di euro l’anno, le società dell’azzardo circa 15 miliardi. Spendiamo per l’azzardo come se ognuno di noi, bambini compresi, giocasse 1400 euro all’anno. Sono 800mila gli italiani con gravi problemi di azzardo, tra i 4 e i 5 milioni quelli che praticano l’azzardo nelle varie forme. I giovani sono quelli più assuefatti all’idea che l’azzardo sia cosa normale. L’azzardo inganna perché illude il giocatore di poter dominare la sorte; distorce la cultura del nostro paese, che è costituzionalmente fondato sul lavoro e non sull’idea che il denaro si vinca con un colpo di fortuna; è una fabbrica di povertà che toglie denaro all’economia reale. Don Andrea D’Urso, presidente Fondazione antiusura S. Nicola e SS. Medici di Bari, scrive in una Lettera aperta ai baristi: “Comprendo i sacrifici che affrontate per dare serenità alle vostre famiglie, in particolare ai vostri figli. Ma se la vostra sicurezza economica dovesse essere motivo di ulteriori disastri per altre famiglie, vi sentireste davvero a posto con la coscienza, da poter guardare negli occhi i vostri figli? Tante persone nei bar con le “macchinette” si giocano la famiglia, gli affetti, il futuro e la speranza!”. Ecco la dichiarazione del dott. Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia: “La liberalizzazione del gioco d’azzardo non ha tolto risorse alla criminalità; piuttosto progressivamente, e anzi esponenzialmente, è aumentata l’infiltrazione nel settore della criminalità organizzata che sta acquisendo quote sostanziose del mercato del gioco. Grazie anche ad un’imprenditoria collusa a sua volta legata ad ambienti istituzionali” (cf. Avvenire, 11 febbraio 2014). A questo si deve aggiungere l’accertata possibilità di generare gravi problematiche sociali e finanziarie (è causa ricorrente di sovraindebitamento, di riciclaggio di denaro sporco, di usura, concausa di fenomeni preoccupanti come la droga) e problematiche di legalità a motivo di possibili rapporti con organizzazioni criminali del gioco illecito. Ogni forma di antiche e nuove schiavitù sono fenomeni aberranti che privano o riducono alquanto l’esercizio della propria libertà e rendono schiavi di poteri egoistici e senza scrupoli: penso alle vittime dell’alcol e della droga, della prostituzione femminile e maschile, alle vittime dell’accattonaggio, del traffico illegale dei migranti e del loro vergognoso sfruttamento ai fini dell’arricchimento illegale e indebito, alle vittime del lavoro nero, del mercato sessuale e in particolar modo della pedofilia, come anche alle molte vittime dei nostri ricatti, delle vendette trasversali. Dobbiamo dare un deciso colpo d’ala anche allo stile e ai metodi delle competizioni elettorali, che da “prove di forza” devono diventare “prove di servizio”, ed evitare ogni forma di emarginazione degli avversari politici, non di rado sconfitti più dagli insulti denigratori e dalle insulse maldicenze che dai soli esiti delle consultazioni elettorali.
Rinnovato compito della società civile e della Chiesa
Le organizzazioni e le istituzione della società civile e religiosa sono chiamate a recuperare il gravoso compito di sensibilizzare le coscienze sul dovere di contrastare quella che papa Francesco definisce la “cultura dell’asservimento”, cioè ogni forma di dipendenza o di schiavitù divenuta “sistema”, e quindi una maledizione. Garantire libertà e dignità è compito di tutti, è rispondere alla comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà per la promozione della concordia.
Perciò, insieme con il cordiale augurio per il nuovo anno, rivolgo anche l’invito a tutti noi, deputati per ufficio civile o per missione religiosa, ad agire con più senso di responsabilità nella promozione della dignità umana di ogni fratello e sorella. A tutta la comunità civile e religiosa gli auguri di pace e di concordia, che volentieri accompagno con la mia preghiera e la mia particolare benedizione sul nuovo anno che Dio ci chiede di vivere nella custodia della nostra e altrui libertà, e nel pieno rispetto della dignità di ogni uomo, perché nostro fratello.
S.E. Mons. Gerardo Antonazzo