FROSINONE – Multiservizi, lavoratori da un anno in tenda a presidiare il Comune

E’ coinciso con la Pasqua l’anno dei lavoratori ex Multiservizi che il 7 aprile 2014 trasformarono il loro presidio quotidiano in una h24 con tanto di tenda. E’ stato l’ennesimo tentativo di non passare inosservati, di mettere pressione, di resistere ad una scelta scellerata dell’amministrazione di escluderli dal loro percorso lavorativo iniziato 17 anni prima.
La tenda è stata piantata, dopo mesi di inutile attesa in p.zza VI dicembre, ad attendere, forse, che qualcuno dalle finestre dell’ente richiamasse i lavoratori, che, a seguito dell’occupazione del tetto del comune nell’anno precedente, aprirono un tavolo su cui discutere una soluzione alternativa alle cooperative, spacciate come una scelta obbligata.
I lavoratori, da due anni fuori dal loro posto di lavoro, non hanno mai abbandonato la speranza della riappropriazione dello stesso e, invece di arrendersi, davanti alla estrema indifferenza della politica, hanno assunto nei mesi che trascorrevano una convinzione sempre maggiore, valutando come una “fregatura generale”, e non solo nei loro confronti, la debordante azione politica e amministrativa della Giunta.
La necessità di una protesta pubblica e visibile i lavoratori l’hanno sempre tentata perché profonda è stata la ferita inferta con la chiusura della Multiservizi e del regalo alle coop, considerando che con la lotta era nata la stabilizzazione del precariato e che gli enti per 15 dei 17 anni non avevano mai messo mano a portafogli. Hanno assistito allo smembramento della loro società, alle vendette reciproche, fino alla maturazione di debiti arrivati fino a €.9,3 milioni, derivanti da una colpevole incapacità politica/dirigenziale di tenere vivo un soggetto pubblico, in house, che agiva per gli enti.
La scelta della svendita dei servizi con l’immediata esclusione di centinaia di lavoratori è stato un atto violento, che il potere ha inflitto e mascherato come atti dovuti e necessari. Una scelta che ha destabilizzato vite di lavoro, e famiglie annesse, che per anni erano state a disposizione degli enti senza se senza ma, riconvertite con le politiche attive del lavoro (progetti LSU) dopo anni di fabbrica a svolgere lavori tra i più umili, nel periodo della ubriacatura industriale.
Lavoratrici e lavoratori che per il 40% (circa 100 lavoratori) oramai stavano raggiungendo la necessaria anzianità di lavoro a cui però mancava quel requisito dell’età, poiché ci si era messi giovani, giovanissimi, a disposizione della forzata industrializzazione. Vecchiaia oggi diventata una chimera nella ristrutturazione dei conteggi pensionistici.
Lavoratrici e lavoratori, con l’intento di concludere con gli anni lavorativi rimanenti quel lungo percorso occupazionale, avevano accettato, nello svolgere lavori per il benessere pubblico, un salario appena sufficiente, con altri tagli negli anni, fino a quando, però, la dignità e la difesa dei diritti hanno preso il sopravvento davanti ad un ulteriore, improponibile, sacrificio di dimezzarlo.
La dignità è sotto la tenda, echeggia spesso nelle affollate assemblee dei lavoratori, quella dignità ultimo baluardo di insensate politiche di deprivazione e impoverimento delle masse. Quella dignità che per i lavoratori riassume l’identità ad un territorio, al loro lavoro, al loro futuro, alle loro famiglie, di cui la politica e le amministrazioni non ne fiutano nemmeno l’esistenza, confondendola con una teatrale, spesso burattinaia, vuota presenza politica, che rimanda nel migliore dei casi sempre a domani quelle scelte a favore dei concittadini, del territorio, della comunità con le quali invece avrebbe senso confrontarsi oggi.
Nel migliore dei casi. Nella normalità purtroppo, favorire gli interessi di parte è l’azione primaria di questa classe politica. Tanti copioni, dalla platea della tenda, si sono susseguiti in questo anno a dimostrazione di ciò: le mazzette della Sangalli, gli appalti alle coop, Mafia-capitale, le privatizzazioni in genere tra cui l’acqua e la sanità, i tagli ai servizi, le tasse.
E’ proprio in questo buco nero che i lavoratori sono caduti e non riescono a venire fuori. Nonostante l’azione sindacale quadra una proposta attraverso convenienze organizzative ed economiche, ecco che i politici si trasformano in burattini, impossibilitati ad agire da sovraordinati, imponderabili, diktat che impedirebbero qualsiasi autonoma scelta che dia significato al territorio e appunto alla comunità.
Si potrebbe fare l’elenco delle azioni negate o abortite per mancanza di continuità politica e coraggio, oltre alla mancanza di chiarezza negli intenti e nella individuazione dei valori, da parte dei politici locali a cominciare dai consiglieri regionali, privi di qualsiasi spessore nelle vicende a tutti note come l’acqua, la sanità o l’ambiente; incapaci di rispondere sul terreno occupazionale, o disoccupazionale come meglio sarebbe dire, se non con incomprensibili spot di politiche inesistenti e melliflue promesse, appiattendosi su scelte regionali impegnate nei “tagli lineari” con a cuore la difesa di interessi consolidati di una imprenditorialità tutta schierata per lo sfruttamento delle risorse e poco inclini alle vicende dei cittadini.
Come inspiegabile appare il disimpegno dei parlamentari di maggioranza nelle vicende specifiche e generali di sviluppo della provincia, i quali, pure coinvolti nell’affrontare i casi locali, non si adoperano nell’andare al di là delle questioni immediate e di sicuro effetto mediatico, senza dare sponda alle difficoltà degli attori singoli e istituzionali territoriali. Come non svolge una necessaria attività di controllo e di indirizzo la Prefettura, arroccata con le sue pur poderose armi, che preferisce non vedere, non agire.
Ma il “merito” per essere riusciti ad ostacolare maggiormente le azione rivendicative dei lavoratori, a condurli sui terreni della difficoltà economica e sociale, a trattarli come criminali, va alla classe politica frusinate, quella che si manifesta nel consiglio comunale e quella che decide per tutti, costi quel che costi. Un consiglio comunale con una maggioranza granitica e silenziosa che solo dopo quasi tre anni comincia ad aprire gli occhi sul ruolo subalterno avuto nelle scelte di Erode e dei suoi epigoni. Finirà la consigliatura, e tanti di questi rappresentanti non avranno espresso compiutamente un loro pensiero; non avranno svolto una sola azione per impedire i disastri più grandi rendendosi anzi difensori di interessi particolari contro i cittadini, interessi di cui parte… “si interessa” la magistratura.
Come di difficile comprensione rimane l’azione della minoranza, priva di un programma strategico che contrasti l’idea di città della Giunta, sempre in ordine sparso e spesso astenuta sugli assets strategici della politica della maggioranza, con la colpevole e non chiarita posizione sulle alleanze provinciali… Una parte della minoranza e una parte della maggioranza oggi, sicuramente, più decise nel difendere l’occupazione e gli attendati, ma che appaiono come una armata Brancaleone davanti all’artiglieria pesante.
Un pensiero speciale però i lavoratori lo riservano alla Giunta di questo disgraziato Comune, decisa e ingannevole nelle scelte di cancellare la storia di una società e dei suoi lavoratori e per aver perpetrato nel tempo tutte le azioni possibili e impossibili pur di non ridare una chance per ricostruire il futuro a centinaia di famiglie.
Altre cose sicuramente sono accadute che meriterebbero di essere raccontate, non solo inerenti questa vicenda, poiché la protesta ha amplificato le scelte politiche e amministrative dell’ente che purtroppo passano tra il silenzio generale. Molti dei lavoratori della tenda che hanno pur acquisito una maggiore coscienza civile avendo avuto modo di stare a stretto contatto con la pratica della politica che amministra, non hanno più fiato e forza per urlare alla città la tragedia che si è deciso di far consumare ai cittadini, alle masse.
Alcuni oramai preparano valigie per andar via da soli o addirittura con tutta la famiglia alla ricerca a 50/55 anni di luoghi di accoglienza dove poter lavorare ancora. Altri vedono consumarsi i loro scarsi risparmi nel vano tentativo di riciclarsi nell’affollato mercato del lavoro; altri si inventano artigiani in un territorio dove i prodotti locali però sono respinti, non desiderati.
Ma tutti, nella valigia o nella nuova ricerca dell’occupazione, nella famiglia o nella strada, hanno compiutezza di aver difeso, di stare a difendere, il diritto al lavoro e anche la dignità di essere umani che rifiutano la camicia di forza dello sfruttamento, esprimendo quel senso di libertà e affermazione dei diritti che sono valori sacrosanti e condivisi, affermati dopo decenni di lotte.
In questa città che ha sempre avuto l’aspetto di un bel sasso levigato vicino a dell’acqua stagnante di luoghi comuni e di scelte scontate da parte del potere, c’è oggi questa piccola tela di tenda che rimane comunque come un fastidioso bruscolo nell’occhio di quelli che hanno sempre pensato di avere ragione su tutto e su tutti, in primis la classe politica che l’unico sforzo lo ha prodotto nel cambiamento del colore del proprio vestito ma mai nelle pratiche.

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