COLLE SAN MAGNO – Resoconto convegno intercomunale sulla memoria della Seconda Guerra Mondiale

Un’aula magna con tante presenze qualificate, studenti e amministratori locali,  quella della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Cassino che ha ospitato venerdì la giornata di studi del progetto “Settant’anni dopo. La memoria della seconda guerra mondiale sul territorio della regione Lazio” promossa dall’Assessorato alla cultura e alle  politiche giovanili della Regione Lazio e rivolta ai centri non capoluogo.
I comuni di Roccasecca, Piedimonte San Germano, Villa Santa Lucia e Colle San Magno (comune capofila del progetto) hanno chiamato a discutere della memoria della guerra nel Basso Lazio studiosi di grande prestigio che da anni ricercano e indagano i molteplici aspetti della seconda  guerra mondiale.
In questo territorio si lavora intensamente, anche con nuove iniziative culturali, come lo stesso Museo vivo della memoria di Colle San Magno, che ha organizzato, l’iniziativa insieme all’Università di Cassino.
“Il Laboratorio di Storia dell’Ateneo di Cassino – ha ricordato Silvana Casmirri, docente dell’Università di Cassino e del Lazio meridionale, in apertura del convegno – non si è mai sottratto al confronto con il territorio . Oltre ad aver organizzato nel corso degli anni numerosi convegni, ha raccolto circa 220 interviste fra la popolazione della Valle dei Santi che oggi sono depositate presso la biblioteca comunale di San Giorgio al  Liri.  L’occasione di oggi è stata studiata per restituire le densità di alcuni temi selezionati che la guerra in casa del ‘43-‘44 poteva richiamare”. Al centro degli interventi, quindi, le sofferenze della popolazione civile che toccarono un punto massimo nelle stragi e negli eccidi  che hanno punteggiato anche il territorio del Basso Lazio, i bombardamenti indiscriminati, l’orrore delle violenze e degli stupri di guerra.

A riflettere sulle stragi e gli abusi delle truppe tedesche di occupazione è stato il Procuratore del Tribunale Militare di Roma, Marco De Paolis, una vera autorità in Italia per l’istruzione dei processi sui crimini di guerra,  fra cui quello per la strage di Sant’Anna di Stazzema, che ha spiegato quali sono i cardini dell’imprescrittibilità di questi eventi ed ha spiegato anche la difficoltà a perseguire gli autori di stragi ed eccidi avvenuti molti anni prima. Si calcola che in Italia vi siano state fra le 15.000 e le 20.000 vittime civili da crimini di guerra. Vittime che in molti casi chiedono ancora giustizia. Dal 2003 al 2013 sono stati istruiti in Italia dalle Procure militari 18 processi e condotte 450 indagini che si sono concluse con 79 condanne all’ergastolo. Nessuna condanna è stata eseguita. Eppure se le difficoltà nel perseguire i crimini di guerra sono molte, non debbono scoraggiare  perché il “principio di giustizia deve essere affermato ” ha detto il Procuratore. Non solo per il passato: tutti devono sapere che i crimini di guerra saranno sempre passibili di condanna. E chi ha subito un torto grave, le vittime e i loro eredi, non saranno mai abbandonati dalla giustizia. I processi, quindi sono fondamentali, ed hanno uno spazio che va oltre la rievocazione o celebrazione che avviene nelle commemorazioni anche perché “centinaia e centinaia di famigliari, di orfani, hanno avuto in questi processi uno spazio in cui affermare la loro identità di vittime “.  Un dovere quindi, riportare alla luce quanto è successo con nomi e cognomi e responsabilità. Anche per quel che riguarda episodi davvero orribili come gli stupri di guerra, le cosiddette “marocchinate” che per  numero e brutalità hanno segnato per sempre la memoria in Ciociaria.

Un elemento di cui si è a lungo discusso e approfondito, a partire dalla ricerca condotta fra gli abitati del Cassinate dalla professoressa dell’Università di Siena, Daria Frezza che ha raccolto più di cento interviste nel cassinate sia sul comportamento delle truppe tedesche sia sugli orrori perpetrati ai danni di migliaia di donne dalle truppe marocchine inquadrate nell’esercito francese, recandosi addirittura in Marocco ad intervistare i testimoni. “ L’impresa di accertare questi fatti –  ha spiegato Daria Frezza citando Tucidide e il suo resoconto della guerra nel Peloponneso – è stata molto laboriosa perché coloro che erano testimoni oculari dei diversi eventi non mi hanno fatto gli stessi racconti sulle stesse cose, ma racconti diversi a seconda di quello che avevano selezionato da una parte e dall’altra o a seconda dei propri ricordi”. Il lavoro di raccordare le varie fonti, anche quelle orali, è quindi un lavoro di ricostruzione complesso, su cui è necessario allargare sguardo. “Se nella Prima guerra mondiale il coinvolgimento della popolazione ha riguardato il 20 per cento del totale, nella Seconda guerra mondiale  si sale al 50 per cento e nei conflitti in atto è ben oltre il 70 per cento – ha sottolineato Fabrizio Battistelli, Docente di Sociologia all’Università la Sapienza di Roma – . Questi i dati generali sulla vittimizzazione dei civili. In questo ambito un’arma di massa, micidiale, efferata ed efficacissima, da sempre, è stata l’arma della violenza alle donne, l’arma dello stupro. Perché è così potente? Perché ha una duplice efficacia: da un lato punisce l’altro come nemico, dall’altro provoca ed umilia il nemico stesso indebolendo la sua capacità di resistenza. Lo stupro rappresenta il più terribile degli insulti, quindi, ad una comunità. In questo territorio lo stupro è stato utilizzato in modo massificato e programmato come arma di guerra che non risparmiava nessuno”. Fra le tremila vittime stimate vi furono, infatti,  anche uomini e giovani. “Ogni comunità tende  a mantenere una memoria segmentata e non certo riporta a fattor comune queste esperienze: il mio ruolo di sociologo è riportare le regolarità dei comportamenti – ha spiegato il sociologo-. Quindi bisogna, ad esempio, focalizzare l’attenzione sugli esecutori materiali e sui mandanti, ma anche sulle vittime che hanno avuto nel silenzio un comportamento razionale per evitare di essere vittimizzata due volte”. E’ stata una vera via crucis quella delle donne e delle loro rispettive famiglie che hanno scelto, come male minore, arroccarsi nel silenzio.  Ma invece è necessario parlarne ed approfondire per tramandare la memoria, in una fase storica in cui la memoria è molto ridotta. E approfondire anche il tema degli esecutori materiali:i marocchini. Erano truppe mercenarie inquadrate in un esercito occidentale, agli ordini dei francesi. I francesi disprezzavano profondamente gli italiani perché erano stati invasi per ordine di Mussolini, che aveva come unico scopo sedersi al tavolo della pace. Questo non giustifica i francesi,ma su un piano socio-culturale ha avuto il suo peso. I francesi sono stati spietati,  hanno punito gli italiani, diventati nel frattempo co-belligeranti,  in modo deliberato con una forma di razzismo raffinata e duplice: non solo permetteranno lo stupro di donne italiane ma lo faranno ricorrendo ad unità militari di colore. I francesi non erano nuovi a questo tipo di comportamento, avendo fatto lo stesso nel 1920 nella Rhur, nei confronti delle donne tedesche con truppe africane. Un quadro intricato, quindi, che, ha ricordato Battistelli, non ha fatto precipitare nell’orrore solo il Basso Lazio ma anche l’Isola d’Elba e Siena. Era una prassi, dunque. Su cui ricercare ancora per spirito di verità, perché sono crimini che “non si possono né punire né perdonare”. Per accertare la verità, però, il Governo francese dovrebbe aprire i suoi archivi e permetterne l’accesso prima della scadenza di legge che in Francia è di 100 anni. Lo studioso ha chiesto una petizione in questo senso. Di guerra parallela  in una guerra più grande ha parlato Gaetano De Angelis- Curtis, intervenuto sul tema delle violenze delle truppe di occupazione tedesche nel Basso Lazio. Una ricostruzione puntuale che porta ad una stima, purtroppo non precisa, di 334 persone che persero la vita in questo territorio,  in episodi di esecuzioni sommarie. Per 245 di loro il direttore del Centro Studi Cassinate, ha ricostruito le circostanze degli eventi raccontate in memorie e diari, classificando 5 eccidi: Collelungo di Cardito nel comune di Vallerotonda; Ripi; Vallemaio; Arpino e i martiri di Paliano. Ci sono poi 41 casi di esecuzioni sommarie di cui non si conosce la motivazione e 32 morti per “competizione alimentare” cioè per la reazione della popolazione alle razzie di cibo e animali. Chiudono l’elenco circa cento vittime per “il controllo del territorio”, cioè ragazzi che cercarono di sottrarsi al lavoro coatto o adulti fucilati perché renitenti alla leva e 59 persone che furono  giustiziate per atti di sabotaggio e di spionaggio. Non mancarono poi casi di assassinio legati a violenze sessuali da parte dei tedeschi. Un panorama frammentato su cui si inizia a far luce non più caso per caso ma nella sua complessità.  Come resta da approfondire il tema sollevato dall’intervento di Costantino Jadecola che ha ricostruito, in un lungo excursus, lo sfollamento della popolazione  citando anche casi di personaggi famosi che si trovarono loro malgrado a subire le stesse sofferenze degli abitanti in molti luoghi del Basso Lazio.  Il convegno quindi ha rilanciato la necessità di approfondire ma soprattutto di far conoscere cosa accadde, oltre i confini del Cassinate con momenti di riflessione ma anche di divulgazione: andranno in questo senso le altre iniziative promosse dagli stessi comuni che prenderanno le mosse nei prossimi mesi.

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