PALIANO – La magia dei ‘Misi’ al Carnevale 2018

La città di Paliano si appresta a celebrare il proprio Carnevale, una festa antica e sempre partecipata, occasione di incontro tra il divertimento profano e la riscoperta di remote tradizioni locali.
L’edizione 2018 del Carnevale palianese si articolerà in due giorni, domenica 11 e martedì 13 febbraio, con la parata delle mascherine e il corteo dei carri allegorici che sfileranno nel primo pomeriggio lungo il consueto percorso da Via Fratelli Beguinot a Viale Umberto I. Musica, danze e castagnole, per un evento che si gioverà anche in questa edizione dell’esibizione itinerante – in programma domenica 11 – de “I Mìsi”, per concludersi durante il Martedì Grasso con le premiazioni dei carri, a cura della Pro Loco, e della mascherina più bella per il Circolo ARCI.
«Anche quest’anno – ha dichiarato il vicesindaco con delega alla Cultura e al Turismo, Valentina Adiutori – abbiamo lavorato insieme alla Pro Loco per strutturare un Carnevale in grado di coniugare goliardia e rispetto sincero per le nostre radici, contando come sempre sul prezioso impegno delle scuole, delle associazioni, delle famiglie. Un Carnevale pensato come spazio di divertimento, ma anche come occasione per cementare la nostra identità attraverso il folklore, portando di nuovo in scena l’esibizione de “I Mìsi”, patrimonio autentico della cultura popolare palianese».
«Il Carnevale 2018 – il commento del sindaco Domenico Alfieri – è un appuntamento importante, perché rappresenta un momento di condivisione per tutta la cittadinanza. Un festa di tutti, in cui si ribadisce il nostro impegno nel portare avanti quel programma ambizioso di rinnovamento culturale che ha permesso a Paliano di fregiarsi del titolo di “Città della Cultura” della Regione Lazio».

APPROFONDIMENTO

Il canto de “I Mìsi” è una tradizione antica di Paliano, tramandata oralmente nel corso dei secoli.
Tra le figure più importanti c’è “l’Autore” interpretato da Pasquale “Tamburino”: una figura sciamanica, che tiene il centro della scena e con un tocco magico dà vita ai dodici mesi dell’anno. Giorgio “Stiò” è il padre dei mesi, un personaggio fiabesco che sembra uscito dai racconti dei fratelli Grimm. “Novembre” è interpretato da Andrea “Ziteto”, colonna portante della trasmissione orale della tradizione. Pasquale e Andrea cantano le formule magiche dei loro antenati, fungendo da anello di congiunzione tra gli avi, la gente e le stagioni.
Il canto dei mesi nasce probabilmente dall’esigenza di contrastare la crisi della presenza, intesa come vibrazione esistenziale e sociale, di una comunità la cui vita dipendeva fino a mezzo secolo fa dagli esiti delle stagioni.
La crisi scaturita dalla paura di un cattivo raccolto, da un inverno troppo rigido o un’estate senza piogge, eventi gravissimi per le comunità agresti, veniva placata attraverso l’esaltazione delle stagioni, dei pregi e delle calamità che esse avrebbero potuto rappresentare.
In un rituale sostenuto dal consenso collettivo di una comunità si compie la magia, la presenza è salva, le ansie sono sublimate nel canto trasmesso dagli avi che magicamente ristabiliscono il morale dei contadini. Il sincretismo con la religione cristiana, i riferimenti ai santi e alle feste comandate, sono la testimonianza di una fusione continua soggetta a influenze esterne, in un continuo intreccio tra pagano e religioso.
Il canto dei mesi è un simbolo culturale paragonabile ad altri rituali del sud Italia, come il canto delle Prefiche Lucane o del Tarantismo Pugliese, manifestazioni ideate per esorcizzare e lenire le paure e i disagi.
Oggi assistiamo alla monumentalizzazione di questi istituti culturali che hanno avuto l’alta funzione di aggregazione sociale, fondata sul consenso di una comunità che credeva fermamente nel valore pedagogico della trasmissione orale delle tradizioni: “I Mìsi” dell’anno, personaggi pantagruelici, famelici e ingordi, come giganti dall’alto dettano i ritmi della vita dell’uomo in un continuo equilibrio tra sogni e speranze.
Tra gli altri canteranno: Luca Attura, Maurizio Mosetti, Luca Tucci, Claudio Spera, Elio Timperi, Sandro Rossi, Maurizio Ceccobelli, Oscar Schifalacqua, Pietro Faciglia, Luca Sperati, Simone Marucci.

IL CARNEVALE E LA “CANTA DEI MESI”
di Achille Pacciani

Per un popolo di contadini e pastori, abituato alla dura vita nei campi e a vincolare il proprio nutrimento e la propria sussistenza alla clemenza della Natura, i riti del Carnevale, nei mesi a cavallo tra il cupo inverno e la primavera, sorsero come evento spontaneo per festeggiare la fine dei mesi più duri dell’anno. Con l’era Cristiana, il periodo fu visto poi anche come un momento di tregua prima del digiuno quaresimale, ineliminabile per un popolo che il digiuno lo faceva “forzatamente” per tutto l’anno.
Tra i rituali più importanti del Carnevale, ci sono sicuramente quelli dedicati al tempo, espresso sia in mesi che in stagioni. Uno di questi è la “Canta dei Mesi” che, oltre ad essere un retaggio degli “ambarvalia” – una serie di riti che si svolgevano nell’antica Roma alla fine di maggio per propiziare la fertilità dei campi e celebrare la dea Cerere – è un’allegoria che vuole essere, nel contempo, omaggio e devozione per ciò che Madre Natura offre nel susseguirsi delle stagioni.
Nei secoli passati, la tradizione delle cantate dei mesi aveva quindi una funzione apotropaica, in quanto serviva a iniziare il nuovo anno evocando buoni auspici ma, il più delle volte, era legata ai riti della questua che avevano la funzione di ristabilire la condizione economica in una comunità.
Le maschere de “I Mesi” sono presenti quasi in tutte le regioni italiane, con le proprie varianti e forme diverse, relative sempre e comunque all’anno agricolo di quella zona. Alcuni mesi sono simili, hanno gli stessi oggetti, dicono e cantano cose simili, altri differiscono del tempo solare di un mese (quello che è giugno in un luogo è luglio in un altro), in alcune zone i mesi viaggiano a piedi, in altre cavalcano animali, in altre ancora sono su carri. Ogni comunità conserva i suoi testi (tramandati oralmente) e le sue performance, ma quasi tutte prevedono la figura di Capodanno oltre a quella di Pulcinella a sud o Arlecchino a nord, nelle vesti di presentatore e cerimoniere.
Tutti i protagonisti delle varie rappresentazioni sono lo specchio di un microcosmo sociale proprio della realtà contadina.

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