SORA – Cultura, 150 anni fa nasceva Francescantonio Biancale

Riceviamo e pubblichiamo da Bruno La Pietra (in foto) il seguente comunicato sul 150esimo anniversario, caduto lo scorso 1° ottobre, della nascita di Fracescantonio Biancale:

Nel registro degli atti di nascita dell’anno 1868, conservato nell’ufficio di statistica e stato civile del comune di Sora, il numero 326 è dedicato al piccolo Francescantonio Biancale, nato alle 4 pomeridiane del primo di ottobre di quell’anno, da Pasquale e da Rosa Calandra.

Il buon Pasquale ebbe, oltre alla signora Rosa, altre due mogli: la prima, tale Fiorini Grazia da cui ebbe il primo figlio, Vincenzo nato nel 1864, seguito dal nostro Francesco, o meglio Francescantonio, avuto già dalla seconda moglie, appunto Rosa Calandra. Con la terza moglie, Maria Borrone, nata a Sora nel 1841, Pasquale Biancale ebbe altri quattro figli, Teresa, nel 1871, Achille nel 1872, Michele (Andrea, Rocco), che diventerà prestigioso e famoso studioso e professore di Storia dell’Arte, nato il 4 ottobre 1878 e Maria Annunziata nel 1881. Pasquale Biancale, di professione era qualificato, nel registro comunale, con il termine: “artiere”, parola ormai desueta che indicava a quei tempi, in maniera succedanea, un artigiano generico. Di fatto gestiva l’attività di “cantiniere”, come più correttamente indicato nello stato di famiglia, e cioè di vendita e somministrazione di vino, probabilmente nelle vicinanze della via “Arena” dove il documento comunale ubicava la residenza di questo nucleo dei Biancale.

La via “Arena” venne chiamata poco dopo, più correttamente, “La Rena”, evitando di confondere le adiacenze estrattive dei sedimenti fluviali tipiche del lungoliri occidentale della nostra Sora, con un luogo adatto a rappresentazioni teatrali. Era all’epoca una strada che aveva alla sua sinistra le sponde del fiume Liri e alla sua destra una fila ininterrotta di case che godevano del tramonto sui pioppeti che dominavano la riva opposta. Due punti focali per la vita cittadina dalla fine del 18° secolo e fino alla metà del secolo successivo, che insistevano sulla “Rena, poi divenuta via Riviera e poi ancora Lungoliri Rosati, erano sicuramente le Mole dei Marsella e delle Monache, quest’ultima proprio quasi di fronte alla casa di nascita del nostro Don Ciccio. Questa costruzione, che difatti chiudeva quella che oggi è la piazza Orto Baronio, era un grosso caseggiato che doveva appartenere alla famiglia Nola. Si è dovuto intersecare l’informazione sul luogo di nascita di Biancale, ottenuta dai documenti anagrafici, con quello che lui stesso fornisce, in maniera quasi contraddittori  (e più tardi confermerà suo fratello Michele ) a proposito di questa casa. Infatti nella poesia: “Ie uicule Resate”, dedicata all’amico G. Rosati, scritta il 15 ottobre del 1924, egli indica la dimora natale proprio nel vicolo, nelle adiacenze del quale sono nati tanti sorani illustri, poeti e non ( basti pensare che nel raggio di circa trecento metri hanno avuto i natali: Cesare Baronio, Vittorio De Sica, Antonio Valente, Francesco e Michele Biancale, Riccardo Gulia e, poco più lontano, l’illustre Vincenzo Simoncelli). Gli anni passati nel quartiere popolare della città, dove regnavano incontrastati gli artigiani: Piciannéglie (tessitore), Melanéglie (sarto) e un tale Geuanne (falegname), solo per citare quelli da lui elencati nella sopracitata poesia, hanno sicuramente contribuito a costruire nel giovane Francesco uno spirito di sensibile consapevolezza nei confronti delle difficoltà della vita, e della sua assoluta indeterminazione. Acquisendo tuttavia, in maniera quasi divergente, quello spirito propositivo e fattivo che caratterizzava, allora come adesso, certe classi sociali e che il nostro poeta ha ben declinato impegnandosi in moltissimi ambiti della vita collettiva dei suoi anni. Abbinando il tutto ad un’ereditaria, pervicace e consolidata vena di pessimismo che si esprimeva attraverso la convinzione che fosse in atto una trasformazione degenerativa dello status quo e che identificava nel tempo della gioventù e dell’adolescenza una sorta di arcadia immaginaria e salvifica. Alcuni tratti descritti nella poesia “I uicule Resate” sono particolarmente interessanti ai fini della analisi biografica del nostro autore, ancora oggi, nelle prossimità dell’incrocio tra il lungoliri Rosati ed il vicolo stesso, esiste un nucleo famigliare discendente dai Biancale-Restaino, e caso stranissimo quanto poeticamente significante, in tutto il centro cittadino solo in quel luogo si può ancora veder un incredibile balcone con una pianta rampicante, ad evocare, o meglio proprio a ricordare : “la uita sagliéua a lle facciate ‘nche lle pènnera ‘ùua ghianca e nera”, (la vite saliva sulle facciate con i grappoli di uva bianca e nera). In quegli anni anche il centro cittadino, che evidentemente non aveva subito l’assedio del cemento e dell’asfalto, era circondato da pergolati (le famose “préula” termine derivato dall’italiano pergola, anzi forse più direttamente al latino pergula ) a cui si riferirà poi nella poesia “La Fernarella”.

Il 31 luglio del 1924, diventa direttore responsabile dell’Efebo, fondato dal dott. Giuseppe Ferri, precisamente nel terzo numero del primo anno della rivista di cui i primi due numeri furono diretti da Alfonso Simoncelli. In questo primo numero da lui diretto, il suo diletto nipote, Corradino Restaino, figlio di sua cugina Nunziata Biancale, sorella di Bernardo e di un paio di anni più anziana di lui, introduce, nella prima pagina del giornale, due sue poesie: “Sciume ‘ngannatore” e la celeberrima “ Uita e morte”. Sono due assaggi del suo progetto poetico, come aveva fatto in precedenza anche sui giornali: “La Voce del Liri”, “I Tre Abruzzi”, e “Ciociaro”.

Nel 1925, con data di riferimento la Pentecoste di quell’anno, viene finalmente dato alle stampe il famosissimo “Fiure ‘e jemata” presso la tipografia Carlo Camastro e figli di Sora, che dal primo di agosto si era trasferita nei nuovi locali di proprietà lungo Viale Simoncelli, cioè come indicato comunemente a Transliri. Il volume di circa 90 p. è la prima raccolta organizzata dei lavori del poeta Biancale. Appare diviso in quattro sezioni tematiche più due sezioni generiche e contiene 38 poesie. Il sottotitolo esplica bene la funzione di svelare le reali intenzioni del cinquantasettenne autore: “Impressioni dialettali di vita sorana”. Una chiara e sobria volontà di non voler assurgere a null’altro che vada oltre la testimonianza di amore e di interesse per la vita della sua città e delle tradizioni ad essa legate. Ad esso seguiranno nel 1930, “ La Pigna Macciocca”, nel 1932 “Je Fu-Bal” una raccolta di cinque poesie, e nel 1935 l’ultimo lavoro, “ Canzune ‘e sciume”. Non mi è stato possibile rintracciare in alcun modo il volume : “Je Capesturne” che altri autori di brevi biografie sul Biancale avevano indicato come stampato nel 1934. Credo che si tratti di un errore dovuto forse alla pubblicazione su foglio sciolto, di questa singola poesia tra l’altro compresa nell’ultimo volume. Spesso infatti, come farà più tardi in maniera massiccia anche Riccardo Gulia, alcuni scrittori preferivano realizzare alcune opere singolarmente e del Biancale io stesso ho potuto verificare l’esistenza della poesia dedicata a don Virginio Bruni, “I mese mariane alla Maonna ‘e lla Razzia” stampata a maggio del 1930 ed anche “Sora Santificata” contenuta anch’essa in “Fiure ‘e jemata”.

Il 15 dicembre del 1936 si spense nella casa sulla riva del Liri che per sempre era stato il cuore poetico delle sue composizioni. Vani furono i tentativi esperiti anche dal fratello Michele di sottoporre il malato poeta a cure di medici prestigiosi “fatti venire da Roma”. A seguito ad ogni visita, amaramente Don Ciccio confessava al pronipote l’inutile affanno di questa ricerca, autodiagnosticando per se, nonostante fosse ”medico degli animali” una fine vicina. E così da quella casa, situata nella via che allora era indicata come via Federico G. Florio, e che oggi in effetti è individuabile con il caseggiato che da Piazza Garibaldi costeggia a sinistra il primo tratto del Lungoliri Cavour, che noi sorani identifichiamo genericamente con il nome di Supercinema, Francesco Biancale iniziò il suo ultimo viaggio. Sicuramente portando con sé il ricordo struggente dei luoghi, dei volti, delle storie che per anni avevano affascinato il suo animo sensibile e stimolato il suo desiderio di celebrare, con versi profondi e sentiti, l’amore che profondamente lo legava alla sua bella città.

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